日本の警察(La polizia Giapponese)
Il territorio, soprattutto nelle grandi città e disseminato di piccole costruzioni isolate come questa, si chiamano 交番(kōban) e sono delle casermette in cui c'è un presidio di polizia. Ogni stazione ha un kōban, e ce n'è uno all'incirca in ogni quartiere: questo qui sopra è il kōban di 浅草(Asakusa).
Fa un certo effetto vedere la macchina di mia madre addobbata in questa maniera!! Qui siamo a Toyama, vicino all'aeroporto.
Passiamo al sodo: una serie di articoli scritti dal formidabile Pio D'Emilia sul suo blog (dei quali citerò molti passi) mi ha spinto a trattare adesso di questo argomento. Per chi non lo conoscesse, Pio D'Emilia è un giornalista Italiano che vive a Tokyo da tempo immemorabile, e corrisponde per varie testate tra cui Sky TG-24, L'Espresso etc. Indimenticabili le puntate di Turisti per Caso da lui guidate e la collaborazione con Sciuscià di Michele Santoro.
Pio ci parla della disavvenutra capitata ad un giornalista svedese, che ha insultato un tassista che non lo voleva caricare in macchina perchè straniero e ha passato diversi giorni in carcere senza alcuna prova di ciò che era accaduto. Purtroppo il Giappone è ancora molto indietro in tema diritti umani, la custodia cautelare in Giappone dura 23 giorni, si chiama 代用監獄(daiyō kangoku) e fa accaponare la pelle solo a nominarla: è rinnovabile per ciascun singolo addebito. Questo limbo al quale è sottoposto il sospetto è quasi fuori da ogni regola, in quanto la maggior parte delle cose che si verificano in questo lasso di tempo non viene verbalizzata, il sospetto ha diritto a ricevere l'assistenza di un avvocato d'ufficio solo dopo il rinvio a giudizio. Gli interrogatori sono fuori da ogni regola umanitaria, non sono verbalizzati nè registrati e sono mirati ad uno scopo preciso: quello di far confessare il sospetto, per il quale non esiste la presunzione di innocenza, ma la presunzione di colpevolezza: alla polizia non importa che il sospetto sia o no colpevole, importa che confessi, in modo tale che la polizia non "perda la faccia". Vi sono testimonianze provate dell'utilizzo della tortura da parte della polizia: un singore chiamato Sakae Menda ha fatto 33 anni di braccio della morte per aver firmato una confessione estorta dopo 10 giorni di interrogatorio: nonostante vi dicano di firmare perchè tanto poi si può sempre ritrattare, NON FATELO. E' statisticamente provato che i rinvii a giudizio avvengono per il 99% senza prove, i procuratori si attengono alle indicazioni della polizia. Un'aggravante, per un fermato, è quella di non collaborare (事実を認めない - Jijistu wo mitomenai - non ammettere i fatti), cioè tradotto in termini concreti, di non confessare, e la custodia si protrae.
Dunque: un sospetto può non confessare per vari motivi: magari non è colpevole, o magari non parla il Giapponese perchè è straniero: e qui sono rogne. Se parlate il Giapponese, se pensate di saperlo parlare, comunque richiedete un interprete (Interprete si dice 通訳, Tsuuyaku)(n.d.SirDic).
Bisogna ammettere che in Giappone, chi commette un crimine per davvero, paga pesantemente: se ad esempio intendete fare qualche furbata tipo il trucchetto della Corea, cioè di passare tre mesi in Giappone, poi andare in Corea, e rientrare in Giappone per passare di nuovo tre mesi, oppure vi venga in mente qualsiasi cosa anche futile, ma illegale da fare in Giappone, beh desistete, perchè richiate veramente grosso, come minimo di passare qualche giorno sotto interrogatorio e poi essere cacciati a calci dal paese, per sempre, come minimo.
Altresì è presente un altro grave pericolo, per i bravi ragazzi sia Giapponesi che stranieri: cioè quello di incappare in malintesi: ad esempio: siete al supermercato e un altro cliente o lo stesso commesso vi accusano di aver rubato, anche se voi non l'avete fatto e materialmente non vi sono prove: siete fritti perchè vi arrestano, come il povero giornalista svedese, e se siete stranieri provano una certa soddisfazione a farlo. Altro esempio: siete in metropolitana, una ragazzina caccia un urlo e vi accusa di averla molestata: lo stesso, vi arrestano alla stazione successiva. E' importante tenere un profilo basso quando si è in Giappone, intendo, stare buoni e non fare scemenze, non dare nell'occhio: situazioni come queste sono rare ma succedono, come dimostrato, quindi MAI dare di matto, mai incazzarsi se un tassista non ti vuole caricare in macchina (il più delle volte non è per razzismo ma per timore e diffidenza di ciò che non è Giapponese); se volete entrare in locali o terme di clientela prettamente Giapponese, fatevi accompagnare se possibile da un Giapponese; se siete maschietti in treno e comunque in generale state lontani dalle ragazzine, soprattutto quelle più grandi e con la divisa più sfatta; nei negozi non abbiate mai un atteggiamento furtivo o sospetto.
L'essere stranieri in Giappone comporta per forza il "dare nell'occhio", soprattutto fuori Tokyo: significa essere sempre osservati, la chiusura del Giappone si concretizza anche in questo, nella diffidenza e nella paura della gente nei confronti del diverso, del forestiero. E il passo dalla diffidenza al sollevare la cornetta per chiamare la polizia è brevissimo, e se finite nelle loro grinfie difficilmente ci sarà un Pio D'Emilia a salvarvi. A quanto si dice però, sembra si intraveda uno spiraglio nella melmosa situazione della giustizia Giapponese.
(Ringrazio Pio D'Emilia per aver condiviso con noi quest'esperienza, e per il suo lavoro quotidiano, quello di un vero giornalista. Ringraizio N-chan per avermi parlato della polizia Giapponese. Per gli appassionati di cinema, ci sono dei film che parlano di questi argomenti: それでもボクはやってない(Soredemo Boku Wa Yattenai), di Masayuki Suo, 2006; e ポチの告白(Pochi No Kokuhaku - Confessione Di Un Cane), di Gen Takahashi, sempre del 2006).