(I fatti che seguono, pur romanzati sono assolutamente VERI)
Ci furono così delle circostanze che determinarono la mia decisione di partire DA SOLO in Giappone, per la mia prima volta.
Spazioporto di Fiumicino, 18 gennaio 2007. Io lavoro in aeroporto da anni, quindi quella lurida sporcizia del piazzale aeromobili, i trattorini elettrici che sfrecciano dappertutto oltre i limiti di velocità, quelli dell'Alitalia che se la tirano più degli altri, sono immagini a me abbastanza familiari. Quando arrivai al gate però, ci furono subito due cose che mi fecero capire di essere davvero in procinto di vivere un'avventura incredibile...
La grandezza strabiliante dell'astronave che mi avrebbe portato nell'altro mondo, un pulitissimo e lucidissimo Boeing 747-400, e "i Giapponesi".
Posai emozionato quella irripetibile carta d'imbarco su una panca, inserita tra le pagine del passaporto nuovo di zecca, profumato di quell'odore di carta nuova che adoro sentire quando apro un libro appena comprato.
Dicevo, "i Giapponesi". Ho detto già qualcosa qui su questo argomento. Ogni volta che ho visto dei Giapponesi, sono sempre stato colto da un profondo senso di rispetto nei loro confronti: a vederli qui in Italia o in qualsiasi paese estero, per me sono un pò come esseri eterei che si aggirano timorosi ed educati alla scoperta di nuovi mondi e realtà. Pur utilizzando i nostri stessi vestiti, si vede lontano un miglio che non appartengono al nostro mondo perchè usano dei vestiti fatti con dei polimeri incredibili, e per proteggere i loro delicati occhiettini portano delle mega visiere fatte in beta-culatton (giuro l'ho letto in un blog sul Giappone), un polimero che arriverà da noi (forse) tra un secolo o due. Si muovono in branchi, forse per proteggersi a vicenda, e portano con loro ingenti scorte d'acqua e di cibo perchè l'aria e la vita in paesi stranieri così lontani dalla loro realtà forse li debilitano, un pò come gli alieni del film "Coccoon"... dio... che paura mi facevano quando si toglievano di dosso la pelle da essere umano e mostravano la loro vera e fragilissima natura, forse per quello che i Giapponesi indossano sempre delle mascherine...
L'area antistante il gate era piena di Giapponesi. Sensazione. Io che sempre li ho cercati col lumicino, sperando di trovarli tra frotte di Cinesi o di Coreani come quando si cerca un riccio di mare femmina in una colonia di maschi... dannazione era pieno di Giapponesi, chiamai mamma e le dissi "mamma è pieno di Giapponesi", chiamai mio fratello e gli dissi, potete chiederglielo se non ci credete, "Davide, è pieno di Giapponesi...". Avranno pensato che ero un imbecille, era normale visto che andavo a Tokyo.
Li guardavo muoversi, camminare... le donne avevano tutte le gambe storte, forse la gravità di questo mondo è troppo forte per loro allora dopo una permanenza qui si sentivano stanche e non vedevano l'ora di tornare a casa, e poi notai una cosa tra tante: tutti odiavano le loro stesse scarpe. Appena potevano, le toglievano. Per camminare le usavano, certo, per meglio confondersi con gli autoctoni, ma sempre indossate in modo che fosse facile toglierle appena possibile... mi chiedevo se in Giappone non usassero le scarpe... sedevano coi piedi scalzi ma posati sulle scarpe posizionate ordinatamente lì sotto , e parlavano, parlavano, parlavano tra di loro.
Ebbi però delle sorprese: le donne, soprattutto quelle in età sembravano pettegole, un poco isteriche, e i loro mariti sembravano sottomessi al loro volere. Le signore in particolare, formavano dei gruppi, gruppetti ridotti di quattro o cinque elementi che occupavano delle file di panche: sedevano lì e parlavano, parlavano, parlavano, coi piedi scalzi... indicavano le altre signore e sembrava spettegolassero a più non posso. I loro mariti masturbavano compulsivamente ed impacciatamente le loro fotocamere di ultima generazione dotate di cavalletti di ultima generazione fatti di chissà quali allucinanti polimeri e in silenzio totale speravano (o forse anche no) di avere delle attenzioni dalle loro consorti che invece se ne fottevano dei polimeri allucinanti e li liquidavano per andare a vedere la vetrina di Gucci lì davanti al gate 28.
Che fossero un pò come noi? Notai poi che il posto in cui mi sedevo generava un certo nervosismo nei Giapponesi: le panche erano disposte in file da cinque o sei sedili, non ricordo bene. Insomma, il fatto che io mi sedessi al centro non permetteva ad un gruppetto di signore in migrazione da Gucci di sedersi contigue per chiacchierare, quindi, cercavano altre panche. Se invece mi alzavo e mi sedevo in un sedile periferico, lo stesso non si degnavano di avvicinarsi, forse perchè ero straniero, magari lo capivano dall'odore. I loro mariti invece mi sorridevano cercando complicità, posando i cavalletti allucinanti e le fotocamere con le lenti fatte in non so quale polimero del cazzo.
I signori sembravano stanchi, frustrati e nonostante tutti quei polimeri, insomma un pò sfigati; le signore sembravano un pò troie (in senso buono, intendo).
...ma quanto erano simili a noi...
Ma con sorpresa ed emozione tra i passeggeri in attesa vidi...
Non erano queste, questa foto l'ho presa da Wikipedia, ma erano come queste, delle scolarette Giapponesi in divisa sul mio volo! Ma vi rendete conto? Era come incontrare la mia Masami Nagasawa fuori dal set ancora in abiti di scena! Avevano quell'uniforme da marinaretta, le gambe (storte) scoperte, le calze bianche... "Ma cavoli allora è vero che si vestono così" - pensai. Ho letto in un blog sul Giappone (giuro) che le ragazze Giapponesi non tolgono mai la divisa, è come una pelle di serpente, la cambiano ogni stagione... cool... ma poi notai che anche loro andavano da Gucci, spettegolavano, non sembrava che dicessero cose intelligenti come Masami Nagasawa ma sembrava, anche se non capivo un'accidenti, che parlassero compulsivamente e istericamente di assorbenti e stoica sopportazione di dolori mestruali, di cazzi, di rossetti e smalti, di shopping, di "Uomini e Donne di Maria De Filippi", etc... e sembravano anche un pò troie (in senso buono, intendo)...
...cioè metti un'uniforme da marinaretta alle studentesse Italiane, e il risultato è lo stesso... ma porco cane che succedeva?
Col cuore in gola ascoltai l'annuncio del volo, ci stavamo imbarcando. Copiai i Giapponesi cercando di imitare la loro avanzatissima tecnica di attesa, ho poi scoperto che si chiama "fila" o "coda", c'è pure nel dizionario di Lingua Italiana anche se non è facile da trovare: si tratta in poche parole di mettersi uno dietro l'altro ordinatamente per attendere un evento che in questo caso era l'imbarco. Cazzo 'sti Giapponesi erano proprio davanti, sudavo da pazzi per rimanere nella fila, non penserete che sia facile abituarsi così in fretta a delle abitudini aliene, e poi che ne sapevo, magari se sgarravo mi infilavano qualche polimero zigrinato su da qualche parte...
Entrai dentro l'aereo con la stessa sensazione che provava il capitano Kirk di Star Trek quando entrava in un'astronave aliena. Anche loro hanno le assistenti di volo sapete? Ma non sono tutte carine e gentili come Masami Nagasawa, anche se in divisa non stanno affatto male.
Per fortuna quel giorno il volo era quasi vuoto, avevo il privilegio di occupare ben tre sedili. Ero sfinito, troppe sorprese, troppe nozioni, una valanga di dati, informazioni tutte assieme nel mio cervello.
Più il tempo passava, più mi rendevo conto del fatto che mi allontanavo, mi allontavano. Sotto quella immensa distesa di nuvole c'era l'altrettanto immensa distesa ghiacciata della Siberia. Cazzo la Siberia, quando uno vuole parlare di una cosa lontana ed estrema, parla della Siberia. Il Giappone non è lontano, ma di più, sta oltre la Siberia. Io ci volavo sopra sulla mia astronave, piena di alieni che facevano ginnastica a ritmo della musica di una cantante aliena che si chiama Ayumi Hamasaki. Il disagio aumentava, le assistenti di volo aliene mi trattavano con diffidenza, gli altri passeggeri mi guardavano con diffidenza...
Il computer di bordo indicava la rotta, quella dannata linea rossa ci metteva una vita ad arrivare lì a destinazione...
La mia postazione era un casino, chissà con quale schifo mi guardavano gli alieni, avranno pensato che fossi proprio un alieno disordinato, ma 12 ore erano infinite da passare lì dentro.
Poi l'aereino lì nel computer di bordo raggiunse il tratto di mare che separa la Russia e la Corea dal Giappone, si chiama "Mar Del Giappone". L'astronave cominciò a scendere. Guardai fuori dal finestrino e c'era mare, un sacco di mare, e il sole tramontava già dopo una giornata durata solo poche ore per via della velocità di spostamento dell'astronave stessa. Ma nella mia testa le parole "Mar Del Giappone" rimbombavano insistentemente, come un martello.
"Mar Del Giappone", una cosa di cui a malapena si parla nei libri di geografia, non so se sia vero, ma ho letto su un blog sul Giappone che lì l'acqua è gialla e vi nuotano strani animali...
Sapevo solo che in quel momento non ero MAI stato così lontano da casa, e non potevo tornare indietro ...non mi sentivo a mio agio.
Penso sia stata l'ansia, mi venne un mal di pancia allucinante, più allucinante dei polimeri sopracitati, dovetti scappare in bagno. Le toilette degli aerei sono estremamente piccole, e si sa, la percezione olfattiva delle cose terribili che si producono lì dentro è direttamente proporzionale alla grandezza della stanza dove il tutto accade, e siccome so con certezza che voi lettori non cagate violette, potrete immaginare quale fosse la portata di ciò che il mio corpo aveva prodotto...
Ora, le porte dei bagni degli aerei sono bastarde: sono composte da due elementi che snodandosi a soffietto ne permettono l'apertura: la chiusura del bagno sembra affidabile, una luce all'esterno indica se la toilette sia o no occupata. Beh io ero lì che producevo cose terribili e inenarrabili con grande dolore, come stessi partorendo, quando...
Lei (non proprio lei ma una come lei...) apparve davanti a me. Forse la serratura era rotta, chissà cosa è successo, ma una Japanese schoolgirl in uniforme d'ordinanza ha aperto, anzi no spalancato violentemente la porta della toilette per usufruirne e ha trovato dentro Nicola che produceva armi chimiche da paura.
Storia d'amore con Japanese schoolgirl innamorata in uniforme, passeggiate in bici con Japanese schoolgirl innamorata in uniforme sotto i sakura in fiore, andare al Konbini a comprare il latte con Japanese schoolgirl innamorata in uniforme, giocare a baseball o a basket a scuola con Japanese schoolgirl innamorata in uniforme più amiche carine anche loro in uniforme che mi incitano come un eroe... tutti sogni di gloria stracciati in un attimo. Che figura di merda.
Tornai al mio posto, la scolaresca di ragazzine che aveva chiacchierato di cazzi e mazzi durante tutte le 12 ore di volo si era ammutolita al mio passaggio. Affranto, in volo da qualche parte dall'altra parte del mondo sul mar del Giappone, guardai il filmato che diceva cosa fare e come muoversi nell'aeroporto di Narita, solo uno dei più grandi del mondo, e non ci avevo capito un cazzo, un'inezia, e intanto il Giappone era sotto di me.
Non scherzo, sotto di me c'era davvero il Giappone. L'ansia non se n'è andata, le coliche neanche, terra nera con agglomerati di abitazioni ovunque, le case avevano i tetti colorati, rosso acceso, blu, e c'erano un sacco di scuole, piene di schoolgirls che avevano appena divorziato per sempre coi miei sogni di ragazzino scemo fissato col Giappone. Un sacco di scuole con il campo di calcio in terra battuta, un sacco di scuole, e case piene di Giapponesi. Milioni di Giapponesi, dopo averli cercati e desiderati, erano lì sotto e brulicavano come formiche, producevano anche in quel momento. Risaie a perdita d'occhio, case e scuole, c'erano quasi più scuole che case.
Scesi dall'aereo, riuscivo a respirare. L'atmosfera era identica a quella del mio mondo. Ero pronto a formattare la mia mente dalle cazzate, dai miti, dai sogni, e sintonizzarla sulla realtà.
"Mamma sono in Giappone, ci sono un sacco di Giapponesi".